Nella scorsa puntata abbiamo conosciuto i pregi e le virtù della tenuta di Volpaia, la sua storia e il suo legame con la famiglia Stianti-Mascheroni: in questo seguito approfondiremo invece la conoscenza dei vini qui prodotti, a partire dalla loro etichetta.
«Non si tratta di una chiesa qualsiasi, ma di un monumento nazionale dichiarato tale nel 1982: l’edificio sacro è intitolato a Sant’Eufrosino e simboleggia Volpaia in modo inequivocabile. Quest’etichetta in particolare, poi, porta ancora il mio nome, ma dal prossimo anno si leggerà soltanto la dicitura “Castello di Volpaia” – i collezionisti sono avvertiti!», scherza Giovanna.
Questo blend è composto dal 90% di Sangiovese e dal 10% di Merlot. La nostra Riserva, invece, è Sangiovese puro: un tempo si usava anche l’uva bianca per produrre il Chianti, ma era inadatta a far ottenere un vino forte. Non abbiamo mai voluto che i nostri vini fossero leggeri, anche se ora il gusto del pubblico va in questa direzione; abbiamo sempre voluto che fossero buoni, e questo ci ha portato ad esportarli anche verso il Canada e gli Stati Uniti.
Oltre a ciò che sta all’interno della bottiglia è importante valutare il contesto produttivo, che essendo biologico è particolarmente delicato. Occorre proteggere la vigna e giocare d’anticipo, prevedere qualsiasi problematica e prevenirne l’insorgenza, in una continua sfida che richiede la presenza costante tra le viti.
L’andamento delle piogge è forse il segno più evidente della differenza climatica tra il presente e qualche decennio fa. Ora la pioggia cade tutta d’un fiato, in un intervallo di tempo breve, inzuppando il suolo: per ovviare a questo problema lasciamo crescere l’erba in modo tale che la possa assorbire e limitare i danni.
Il Coltassala è iniziato come vino da tavola, essendo un 95% Sangiovese. All’epoca i produttori pensavano alla quantità più che alla qualità, ma noi abbiamo scelto il clone corretto da cui partire: abbiamo avuto la fortuna di avere una persona esperta nel fare innesti, che non veniva retribuita a cottimo ma poteva concentrarsi sulla pratica agronomica senza fretta.
Il restante 5% del blend è composto di Mammolo, un’uva che da sola non avrebbe abbastanza forza per maturare ma che offre un tocco più gentile al vino se unita al Sangiovese. La sua presenza dà una nota floreale alla struttura del Coltassala. Tornando al discorso climatico, se una grandinata distruggesse la vigna di Mammolo non riusciremmo a produrre il blend, essendo una sola: per fortuna per ora non è mai successo.
«Il nostro Chianti Classico è più delicato del Coltassala, possiamo riconoscere al suo interno frutti rossi come la ciliegia. Nel Coltassala si sentono invece frutti come le more o le amarene, soprattutto degustando questo Gran Selezione del 2018 invecchiato in barrique: in dipendenza dal vintage resta dai 18 ai 24 mesi in botte, per poi proseguire con almeno 6 mesi d’invecchiamento in bottiglia. La mia preferita è la Magnum, con la 0.75cl non si ottengono affatto gli stessi risultati», spiega Federica.
«Il Balifico, infine, è un 65% di Sangiovese unito ad un 35% di Cabernet Sauvignon; è un Super Tuscan che non segue le regole di produzione del Chianti, ovviamente».
«Sì, abbiamo sicuramente sperimentato molto con la fermentazione, cambiando metodo almeno cinque volte: siamo partiti dall’acciaio inossidabile, per cui abbiamo subito progettato un sistema che controllasse la temperatura per evitare di perdere l’aroma del vino. Abbiamo provato il cemento, l’argilla, ma personalmente amo di meno queste alternative», afferma Giovanna.
La vigna meno elevata è il cosiddetto “Castellino”, a 350 metri d’altezza all’incirca. La vigna più elevata è invece a 650 metri d’altezza, con un terreno roccioso che offre mineralità al vino. Tutte le vendemmie sono fatte a mano e sono molto difficili. La vigna più elevata è soggetta ad un clima più ventoso, il che è una buona cosa.
L’escursione termica tra il giorno e la notte è abbastanza percepibile anche d’estate, così come l’innalzamento della temperatura; per vigne collocate più in basso quest’ultimo trend sta diventando un problema. Noi semplicemente raccogliamo l’uva un po’ più presto.
Esattamente. Fare rete è fondamentale per lo scambio di idee, la cooperazione e l’impatto positivo sul mercato del vino che è possibile avere se si combinano le energie.
Spesso racconto un episodio particolare per cui, trovandomi ad Hong Kong, ho chiesto ad un giornalista di scegliere per me un cibo da abbinare al Chianti: mi portò un piatto di pesce bianco bollito che guardai con stupore, non capendo come potesse essere adatto al vino… Eppure ne rimasi sorpresa. La salsa in cui era marinato il pesce infatti era abbastanza grassa da reggere il confronto con il vino. Di norma, però, consiglierei un piatto di carne oppure un piatto speziato.
Grazie ad entrambe per questa lunga chiacchierata e… Buona degustazione ai nostri lettori!
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