Una lunga saga familiare che parte a cavallo del 1900. Un grande anfitrione: Ernesto Pavoncelli. Un territorio che non cambia mai: Pescantina, l’Adige, la Valpolicella storica. Una storia lunga quasi 120 anni fatta di carne, spezie, muffe e tanta, tanta passione. Il Salumificio Pavoncelli è, a ragione, uno dei più antichi d’Italia, sicuramente del Veneto.
Tutto parte dalla lungimiranza e dalla tenacia di un uomo visionario di fine Ottocento. Uno di quelli che non accetta le logiche del tempo e non si lascia intimidire dalle sfide della vita. Insomma un giovanottone con la creatività latina e la determinazione austroungarica. Sì, perché le terre di Pescantina erano l’ultima frontiera italiana al confine con l’Impero Asburgico. Ancora oggi si riescono a scrutare in lontananza gli antichi forti di pietra, appollaiati sulle alture lungo la Valle dell’Adige, che qui ha inizio. Pescantina è un borgo antico, un porto sull’Adige, la prima tappa delle merci provenienti dall’Impero del Nord. Lo è sin dai tempi dei romani, che qui hanno lasciato numerose tracce di una vita commerciale molto florida.
Ernesto arrivava giovanissimo tra queste terre, provenendo da un altro paese sull’Adige, a est di Verona: San Giovanni Lupatoto. Suo padre era un pegoràr, un pastore di pecore, e in queste terre c’erano molti prati e radure, nonché acqua in abbondanza, ideali per mantenere un gregge. All’inizio Ernesto svolgeva la funzione di garzone in qualche macelleria del paese e da lì partì la sua passione per la lavorazione delle carni. Dopo un periodo di produzione casalinga di salumi, in particolare della tradizionale sopressa veneta, si accerta, grazie al primo documento disponibile ancor oggi nell’archivio di famiglia, un atto notarile per l’acquisto di una casa, da adibire ad uso di macelleria, da parte di Ernesto “di professione macellaro”. È il 1899, anno di fondazione della Salumeria. Lo stesso anno che è rimasto impresso nel logo aziendale da sempre.
Le prime carni arrivavano direttamente dalle colline della Valpolicella storica, famosa a quel tempo per l’allevamento dei maiali, in particolare dai borghi come Cavalo, San Rocco di Marano, Mazzano e Torbe, oppure dalle antiche contrade di pietra della Lessinia. Sant’Anna d’Alfaedo era rinomata per l’allevamento dei maiali e dei bovini. A quel tempo i bovini erano soprattutto vitelloni bianchi, che oggi occupano in maggior parte tutto l’Appennino e le Alpi piemontesi. Erano le vere razze italiane: la Piemontese, la Romagnola, la Chianina, la Podolica. Ernesto era sveglio e costruì un macello e una salumeria che risentivano fortemente dei percorsi del suo tempo, soprattutto da un punto di vista tecnico e industriale. Infatti la rivoluzione industriale stava coinvolgendo l’intero mondo occidentale. L’ingegno dell’uomo iniziò a produrre macchinari che agevolavano e contenevano la fatica, permettendo di arrivare a produrre quantitativi di prodotto sino ad allora inimmaginabili. Tutto quello che era possibile acquistare, Ernesto lo inserì nella sua linea produttiva.
Era un uomo che tendeva a fare squadra e, per la prima volta a Verona, riunì un gruppo di macellai del territorio, facendo diventare il suo macello un punto unico di macellazione per tutti. Poteva essere considerato come un prototipo che anticipò i Macelli Comunali e che verrà poi ripreso in molti piccoli centri e nei grandi capoluoghi. La forza, il coraggio e l’entusiasmo in ogni impresa sono la linfa che permettono l’avvio di un cammino di successo. Ogni domenica mattina partiva molto presto e, con il carretto trainato dai cavalli, portava gli ordinativi della carne fresca e delle ossa da brodo a tutte le famiglie nobili della Valpolicella, spingendosi più tardi anche nelle piazze patinate della Bella Verona. Doveva arrivare entro il mattino presto, prima della S.Messa domenicale, perché le cucine dovevano avere il tempo di preparare il brodo e, di conseguenza, il bollito che, ancor oggi, rappresenta uno dei piatti tipici del territorio veronese.
Non era una vita facile: le carni dovevano essere conservate al freddo e a quel tempo il ghiaccio proveniva dai magazzini centrali di Verona oppure dalle ultime ghiacciaie costruite dagli antichi popoli Cimbri delle montagne veronesi. Fino agli anni Venti era lui a condurre sia il macello che il salumificio. Poi, con l’avvento dei figli, cinque per l’appunto, si avviava la vera e propria fase di sviluppo commerciale. Passò indenne la Grande Guerra del '15-'18, mentre la seconda Guerra Mondiale lo vide coinvolto, a suo discapito, come salumificio precettato dal regime fascista in qualità di fornitore ufficiale delle truppe germaniche. Sì, perché i tedeschi avevano a Pescantina il più grande centro di smistamento di tutto il cibo e le bevande per l’esercito di stanza in Italia. Era l’ultima frontiera, al di là dell’Adige, oltre la quale i tedeschi erano poi scappati in ritirata. Un brutto periodo, fatto di sfollati che si rifugiavano nell’Alta Valpolicella o in Lessinia. Anche i Pavoncelli lasciarono tutto durante la ritirata tedesca. Quello rimase un periodo torbido,durante il quale la gente del paese praticava lo “sgancio”, un termine per definire le ruberie e i saccheggi che avvenivano all’interno dei grandi magazzini di stoccaggio degli alimentari tedeschi, delle fabbriche e delle case che erano rimaste vuote. Pavoncelli subì la perdita di tutto ciò che era possibile portar via: carni, salumi, pezzi di macchinari, perfino le tende in casa. Era la fame e il disordine!
Una volta finita la guerra vennero ricostruiti tutti i capannoni e i due fratelli Angelo e Guido, con l’aiuto della sorella Luigina, ripartirono da zero. Erano anni difficili per controversie continue sulle strategie commerciali e produttive da tenere. Tensioni che si aggravavano così tanto da comportare una durissima rottura interna. Una saga su cui si sarebbe potuta scrivere una vera e propria fiction di successo. Nel frattempo però il salumificio aveva iniziato a conquistare i primi mercati oltre Verona: Roma, Napoli, Trieste, Milano, la Svizzera e poi la piazza fortissima del Trentino Alto Adige, ancor oggi punto di forza dei Pavoncelli. Guido decise di separarsi dai fratelli e prendere in carico il nuovo corso del salumificio.
È il 1961, l’inizio di una nuova primavera di successi che portarono il salumificio anche nel mercato europeo. Guido divenne uno dei fondatori, assieme ad altri grandi interpreti della produzione agroalimentare veronese (Bauli, Vicenzi e Veronesi), dell’antica fiera Eurocarni nella sede della Gran Guardia in piazza Bra, anticipando la più conosciuta Vinitaly. Dagli anni Settanta Pavoncelli divenne un’icona veronese della salumeria per l’intera nazione. Furono i primi a sperimentare sui formati dei salumi e, con la loro Sopressa Picnic, inventarono un nuovo modo di vivere le giornate fuori porta. Sulle nuove vie autostradali nacquero le prime aree di sosta, a quel tempo Pavesi, poi diventate Autogrill, dove quel piccolo salame diventò uno dei protagonisti. I Pavoncelli avevano raggiunto grandi successi con i loro affumicati e insaccati, trovando grandi soddisfazioni anche nella produzione di prodotti della più ampia tradizione italiana.
Oggi a trainare il salumificio si trova l’ultimo rampollo della penultima generazione della famiglia: Marco Pavoncelli. Un quarantenne che guarda al futuro con grande entusiasmo, come quello del bisnonno Ernesto.
“La mia attività in azienda, a fianco di mio padre Fabio e di mio zio Sergio, accompagnato dai fratelli Elisa e Diego e dai cugini Silvia, Guido e Andrea, è testimonianza secolare di un forte percorso di famiglia. Una filosofia che non ha subito scossoni nel tempo e che ha sempre voluto mantenere vivo il legame ombelicale con la grande idea del mio bisnonno”.
Oggi c’è più tradizione o tentazione nel mercato?
“Non si può vivere il proprio tempo senza farne parte appieno, così come non può essere il tempo a disconoscere la storia. Il mio obiettivo, ogni mattina che rivolgo lo sguardo ad una nuova giornata di lavoro, è quello di far rivivere la forza e il coraggio di Ernesto e di andare oltre, per costruire un futuro solido e graffiante. Per noi è fondamentale consolidare e allargare i nostri mercati, con l’obiettivo di portarvi la storia, la cultura e la tradizione italiana della salumeria, nel rispetto delle origini. Stiamo ricevendo riscontri lusinghieri dai paesi asiatici, perché ci riconoscono questa autenticità del prodotto. Noi stessi vogliamo che chiunque, da una fetta di un nostro salume, ritrovi la nostra terra, l’Italia, e il profumo di un popolo. Non abbiamo mai smesso di vestire la nostra dimensione di azienda familiare. Non lo faremo mai! È l’unica garanzia di qualità che riguarda la sfera immateriale, a nostro avviso sostanziale”.
Ci sono sfide che state cavalcando per il futuro?
“Certamente, altrimenti non saremo tutti figli di Ernesto! (Sorride) A brevissimo, una bellissima sorpresa ci darà l’opportunità di offrire un upgrade sostanziale alla nostra azienda. Ma anche qui è un paradosso, se si vuole. Sarà un viatico determinante per il nostro futuro che, con un tuffo emozionante, passerà dal nostro lungo e prezioso passato. Un forte passo in avanti per i nostri salumi con uno sguardo più potente alla sacralità della natura e alla sua espressione più pura. Oggi non posso dire nulla di più ma, già tra qualche settimana, ne avremo una piccola anteprima”.
Gli occhi di Marco tradiscono la sua emozione per questa nuova avventura nella storia della famiglia Pavoncelli. La sua forza sta nella famiglia, sta nella consapevolezza che la sua è una barca che rema dritto verso un sogno da quasi 120 anni. L’energia e la forza di Ernesto “il macellaro” qui è ancora di casa!
Bernardo Pasquali
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