Un formaggio che racchiude tutti i sapori e le tradizioni di una regione ricca di storia e che è, in un certo senso, la culla dell’italianità, ovvero il Piemonte. Stiamo parlando del Montébore, un formaggio che sa stupire fin dal primo sguardo. La sua, infatti, è una forma davvero inusuale, rassomigliante ad una classica torta nuziale a più piani. Ma non è solo la sua forma ad essere davvero unica in quanto si caratterizza per un sapore davvero particolare, diverso dalla maggior parte dei formaggi.
Come ben sappiamo, nel nostro Paese vi sono numerose tradizioni antichissime che sono spesso cadute nell’oblio del tempo a causa della massiccia migrazione dalle montagne alle città iniziata gradualmente addirittura alla metà del XIX secolo, soprattutto nelle grandi metropoli simbolo della modernità industriale quali, ad esempio, Torino o Milano, fino a toccare il suo culmine nel secondo dopoguerra. Ci sono casi in cui la tradizione ha però vinto su tutto ed è anzi riuscita a rinascere più forte che mai, proprio come nel caso del formaggio piemontese Montébore.
Questo formaggio prende il suo nome dall’omonimo paesino, frazione del comune di Dernice, della Val Curone in provincia di Alessandria, spartiacque tra le valli del Grue e del Borbera, in cui viene prodotto ormai da secoli. Si caratterizza inoltre per il fatto di essere prodotto, seguendo una rigorosa quanto antichissima ricetta, utilizzando una miscela di latte vaccino (75%) e ovino (25%), elemento che gli conferisce un sapore unico e inimitabile. La sua curiosa forma a torta nuziale si pensa abbia preso ispirazione dall’antica torre diroccata che si trova nel castello di Montébore e viene creata sovrapponendo generalmente tre robiole dal diametro decrescente, anche se in alcuni casi il numero può essere superiore.
La storia del Montébore inizia nel lontano XV secolo e più precisamente nel 1489, anno in cui a Tortona si celebrarono le nozze fra tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, nipote di Ludovico il Moro, duca di Bari e reggente del Ducato di Milano.
Il Montébore compare infatti qui come l'unico formaggio servito in tavola in occasione di questo sfarzoso banchetto nuziale, si dice per volontà del cerimoniere che altri non era se non il celeberrimo Leonardo da Vinci, straordinario artista e scienziato conosciuto in tutto il mondo ma anche, ed è forse questo uno dei tratti di questa poliedrica personalità sconosciuta ai più, attento gastronomo.
In realtà l’origine di questo rarissimo formaggio è molto più antica e si dice risalga addirittura a sei secoli prima, al IX secolo, e che si ricolleghi all’arte casearia padroneggiata con grande maestria dai monaci dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Vendersi situata sul Giarolo, il monte attorno al quale si sviluppano le tre valli del Grue, del Curone e della Borbera. Insomma, una storia davvero antica che vede questo formaggio come il protagonista indiscusso della produzione casearia della zona.
La produzione del Montébore però cessò improvvisamente nel secondo dopoguerra, periodo che vide una massiccia emigrazione dalle valli che, spopolandosi, rischiarono di perdere quel ruolo di testimoni che per secoli avevano ricoperto tramandando di generazione in generazione tutte quelle tradizioni contadine che da tempo immemore erano ormai simbolo dell’identità di un intero territorio.
Solo in tempi più recenti e più precisamente nel 1999 Maurizio Fava, responsabile del locale Presidio Slow Food, riuscì a rintracciare Carolina Bracco, ultima depositaria della ricetta e della tecnica casearia tradizionale, e a riportare infine il Montébore alla gloria di un tempo ridando linfa vitale alla sua produzione. Fu proprio lei infatti, Carolina Bracco, a preparare le prime cinque forme con cui il rinato Montébore venne presentato al “Cheese” di Bra (CN), grande manifestazione annuale dedicata al settore lattiero-caseario che si propone di tutelare e promuovere i numerosi prodotti tipici e artigianali che appartengono a questo settore di produzione e che proprio l’anno scorso ha festeggiato i suoi primi vent’anni di attività.
Il successo fu davvero stupefacente, attirando perfino l'attenzione della stampa estera, anche se creò parallelamente forti tensioni e discussioni nella valle di cui questo formaggio è emblema. Una vittoria indubbiamente meritata per un prodotto più unico che raro, frutto della dedizione e della passione per le tradizioni del proprio territorio grazie alle quali pochi individui, senza concedere spazio alcuno alla modernizzazione, ma seguendo invece senza alcun compromesso solo i dettami della tradizione contadina che da secoli dimora in quelle valli, sono riusciti nel loro intento di riportare alla luce un formaggio davvero unico e genuino dal gusto e dalla consistenza inimitabili.
Visto il dirompente successo, l’esempio venne poi seguito dagli ambasciatori del Montébore nel mondo, Roberto Grattone e Agata Marchesotti, fondatori della Cooperativa Vallenostra, il primo produttore al mondo, secondo il disciplinare, del Presidio Slow Food Montébore.
Il Montébore è quindi un sopravvissuto che, lottando per non conoscere l'estinzione, racconta di un passato lontano che, oggi più che mai, deve essere protetto e tutelato. Un prodotto che non solo è stato in grado di non estinguersi, ma che è riuscito, soprattutto, ad ottenere un posto d’onore nel mondo della produzione casearia diventando un formaggio d’eccellenza davvero raro, un prodotto che merita quindi rispetto e che richiede una certa consapevolezza a chi ha il piacere e l’onore di assaporarlo.
Oggi come secoli fa, il Montébore si produce utilizzando latte crudo misto vaccino e ovino. Il latte viene cioè scaldato fino a raggiungere una temperatura all’incirca di 36° C, al quale si va poi ad aggiungere il caglio naturale. La rottura della cagliata deve avvenire rigorosamente dopo un’ora dal rapprendimento e il risultato di tale procedimento sono dei grumi grossi come noci che vengono poi lasciati riposare per circa mezz’ora.
Successivamente viene eseguita una seconda rottura che permette così di ridurre la dimensione dei grumi. La pasta così ottenuta viene infine messa a scolare nei ferslin, le tipiche formelle a forma di cilindro dal diametro decrescente che andranno poi a costruire i vari “piani” della forma finale del Montébore.
Durante questo lasso di tempo il formaggio viene girato quattro o cinque volte per poi procedere alla salatura manuale delle forme che avviene esclusivamente con sale marino. In seguito le forme vengono messe a riposare in luogo fresco e asciutto per circa 10 ore. Infine, le formelle vengono sovrapposte nella caratteristica forma a tronco di cono, il cosiddetto "castellino", costruendo così la caratteristica forma del Montébore per essere infine messe a stagionare per un periodo che può variare dai 20 giorni ai cinque mesi.
Il Montébore può essere consumato fresco, quando ha subìto una stagionatura di circa 20 giorni che sa rendere questo formaggio complesso ma allo stesso tempo delicato, conferendogli un sapore dolce ed una consistenza morbida e pastosa. Può essere inoltre consumato anche dopo 45-60 giorni e, in questo caso, il Montébore può considerarsi a tutti gli effetti un formaggio a media stagionatura. Può essere infine consumato anche dopo quattro o cinque mesi, periodo dopo il quale viene considerato un formaggio a lunga stagionatura e, proprio per questo motivo, si caratterizza per una diversa consistenza, più corposa, e per un sapore intenso e deciso, quasi piccante.
La crosta del Montébore, quando è fresco, è inizialmente liscia e umida, ma poi, con la stagionatura, diventa asciutta e rugosa e il suo colore va invece dal bianco al giallo paglierino man mano che il periodo di stagionatura si protrae nel tempo.
Il formaggio Montébore fresco è davvero ottimo da gustare a fine pasto grazie al suo gusto latteo e burroso che si differenzia nettamente dagli altri formaggi per un finale che ricorda la castagna e le erbe di montagna. È davvero l’ideale anche per arricchire delle sfiziose insalate.
Il Montébore a lunga stagionatura può, oltre ad essere gustato su un prezioso tagliere di formaggi, anche essere grattugiato su carni fresche o sulla pasta. Il Montébore è perfetto però, in generale, come formaggio d’eccellenza per rendere speciale ogni pasto della giornata: fresco si sposa alla perfezione con il locale miele di castagno, con la marmellata di arancia e con la cugnà, tipica marmellata piemontese a base di mosto d’uva.
Un altro abbinamento gourmet è quello con la frutta secca, in particolare con le noci e i fichi ma anche con le ciliegie in agrodolce e l’uva rosata, rivelando così una versatilità davvero straordinaria che ben si accosta ai prodotti del territorio che si trovano durante tutte le stagioni dell’anno.
Stagionato, invece, il Montébore è perfetto per condire le paste ripiene e gli gnocchi ma anche per mantecare i risotti conferendo loro un'accesa sapidità combinata ad un lieve sentore di piccante. Il Montébore non teme inoltre gli accostamenti forse un po’ azzardati che risultano comunque un ottimo modo per esaltarne al massimo livello il sapore del tutto particolare e caratteristico davvero unico nel suo genere.
È infatti assolutamente da provare con pere caramellate piccanti aromatizzate con zenzero o peperoncino ma anche con il capunet, il tipico involtino della zona a base di carne di maiale e verza, con gli sformati di zucca, di carciofi, di zucchine e addirittura di cardi.
Insomma, un prodotto davvero straordinario per forma e per gusto che non aspetta altro che essere gustato ed apprezzato ed essere quindi elevato alla conoscenza dei più come simbolo del suo territorio di provenienza ma, soprattutto, come icona di eccellenza della produzione casearia del nostro Bel Paese.
Ilaria Chesini
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