L’arrivo alla stazione di Napoli è di quelli che, caotico, è sofistico a dirsi. L’impresa più grande è, per un patentato di Verona, riuscire a guidare nel traffico delle 17.30 senza alcun graffio alla macchina. Come dice un amico napoletano: “basta seguire il flusso!”. Così ho fatto e, non so come, mi sono ritrovato in tangenziale e poi in autostrada, dritto verso la penisola sorrentina. È iniziato così il mio viaggio gourmet alla ricerca di cose buone tra Campania e Molise. Fare scouting di prodotti d’eccellenza italiani non ammette tempi persi e, soprattutto, ha bisogno di tanta tenacia e curiosità.
Prima tappa: la capitale della pasta italiana. Per salire a Gragnano si esce dall’autostrada e si prende la statale che porta alla mitica Costiera Amalfitana. Il paese è arroccato in alto, alle pendici dei Monti Lattari. Mi accoglie una valle stretta e profonda, creata dallo scorrere impetuoso delle acque del torrente Vernotico.
L’acqua, l’elemento che ti accompagna in ogni luogo, la vera risorsa che fa la differenza e marchia l’unicità di questo prodotto. Fontane solenni al centro di piazze e piccole fonti ai lati delle strade raccontano la storia di questo paese. File di palazzi che seguono il percorso del vento e creano vie di correnti d’aria che, dal 1400, hanno fatto di Gragnano un essiccatoio a cielo aperto.
Risalgo verso la strada che porta alla penisola sorrentina e, appena fuori il paese, eccomi arrivato. Mi aspetta Vincenzo con il figlio Ciro Dario. La famiglia Petrone fa parte della storia dei pastai gragnanesi. L’azienda Gragnano in Corsa è stata definita da molti esperti e gourmet, come una delle cinque migliori interpretazioni di pasta di Gragnano IGP. Vincenzo e Ciro mi accolgono nel loro piccolo shop, dove è il giallo dorato il colore che domina. Ma anche strumenti ancestrali e pezzi di una Gragnano che ormai non c’è più. Con loro, vado a visitare i laboratori per la produzione di formati corti e formati lunghi. Sì, perché tutti i pastifici artigianali di Gragnano sono piccole realtà incastonate tra la pietra degli antichi palazzi. In uno dei laboratori, sul portale, c’è ancora il simbolo della confraternita dei Vermicellari. Finalmente entro nelle stanze del piccolo pastificio e sento il profumo del grano, puro, inebriante.
Vincenzo mi fa vedere i Lumaconi che stanno essiccando lentamente. Dietro la porta, un tavolo dove la pasta viene confezionata a mano. In un angolo, i sacchi di semola di grano duro selezionato proveniente dalla Puglia. Qui i sacchi vengono scaricati nell’impastatrice ancora a mano. Non mi resta molto tempo e, purtroppo, devo ripartire. Vincenzo, da grande maratoneta qual è, riesce comunque a farmi correre e assaporare l’atmosfera di questo grande territorio antico, l’anima dei pastai borbonici, i maccheroni infilati nella tasca da Totò in Miseria e nobiltà e il sapore dell’acqua pura che sgorga dalla roccia.
Sono ormai le otto di sera, è tempo di lasciare il sorriso e tutta la passione di Vincenzo e di Ciro Dario. Scendo da Gragnano emozionato e inizio a risalire la Campania attraverso l’autostrada che porta a Benevento e poi prosegue fino a Bari. È buio e dopo il luccichio del golfo di Napoli, piano piano la luce artificiale lascia spazio al buio e al brillare delle stelle. Quando si esce dall’autostrada e si inizia a risalire verso Campobasso il paesaggio notturno diventa dolce e affascinante. Piccoli borghi debolmente illuminati, risaltano ai lati della strada come presepi. Piccole chiese romaniche e gotiche emergono da spazi bui e, in alto, si confondono con la luce delle stelle. Le strade sono sempre più strette e si inizia a salire verso la montagna. Dopo curve e tornanti finalmente eccomi arrivato al piccolo paese di Guardiaregia. È tardi ormai, ma una volta sceso dall’auto vengo rapito da un cielo stellato che non sono abituato a vedere in pianura padana. Tutto attorno è silenzio e la luce fioca di un piccolo borgo si trova di fronte a me. Sembra che il tempo si sia fermato e l’anima si distende. Ma quanto è bella l’Italia!
Nemmeno il tempo di una doccia veloce che verso le 23 riparto verso la mia seconda tappa del giorno. A quell’ora? Certo! Devo arrivare a Cercepiccola, al mitico forno di Rosa Maria Vittoria. Non posso correre per strada, in quanto pullula di volpi, tassi e altri animaletti notturni che attraversano in ogni momento. Mi attende, fuori dal forno, Merirose del Rosso che mi accompagna subito al forno senza perdere tempo. Mi aspetta una notte lunga! All’interno del forno c’è il fratello di Merirose, Pino Pane. A Cercepiccola lo chiamano tutti così! Su un tavolo è pronto il grembiule bianco e il cappello da fornaio. Pino mi fa annusare il panetto di lievito madre che da settant’anni viene rigenerato ogni giorno. È la magia del pane! Tutto parte dagli impasti con le ricette che Pino conosce a memoria. Pane casereccio, pane alle noci, pane al kamut, impasto per le rosette, eccetera, e poi l’impasto per la sfoglia che diventerà cornetto ripieno di crema. A dire la verità, sembro più io il fornaio di Pino, che possiede più il “physique du rôle” di uno scalatore o un camminatore.
Macchine impastatrici all’avanguardia che però, alla fine, lasciano posto a gesti ancestrali che risalgono alla notte dei tempi. Sì, perché l’ultimo impasto delle forme, qui viene fatto a mano e basta. Merirose mi fa vedere tutta la produzione del forno. A parte le buonissime pagnotte che spediamo a tutti voi da qualche mese, tutta la pasticceria, i prodotti di Pasqua, la colomba, la pigna e i casciatelli alla ricotta. Verso le tre della mattina i primi impasti sono pronti per essere formati: ciabatte, pagnotte, spighe eccetera. Il forno si anima e siamo quasi pronti per la cottura. Io non ce la faccio più! Mi tremano le gambe dalla stanchezza: lascio Pino Pane e Merirose e con una certa difficoltà, guido fino al B&B schivando volpi, tassi & Co. Ma al mio arrivo, ancora una volta, alzo lo sguardo verso il cielo del Molise tempestato di stelle. Vado a letto in buona compagnia!
Bernardo Pasquali
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